Su un vecchio libro di geografia leggevo un paragrafo sui paesaggi naturali, scientifici e mentali, che illustrava le proiezioni della nostra mente verso stati d'animo contrastanti (dolcezza, pace, irrequietezza) al contatto con la natura; in poche parole l'autore voleva dire che spesso ci facciamo delle idee su un mondo paesaggistico che quasi mai corrispondono alla realtà. Così se ci immaginiamo gli Stati Uniti come la terra dei Canyon e delle metropoli, verremmo a scoprire come tutte le nostre speranze svaniscono di fronte a una realtà molto più terrena e "normale" di quella che ci saremmo aspettati. Tutto questo discorso solo per introdurre il concetto di "paesaggio deludente" che i geografi identificano nelle persone romantiche, fantasiose e poco legate alla grettezza della vita quotidiana. Quanti di noi hanno sognato di vivere nella magica Africa, nel desolato Tibet, nell'affascinante India, o nella tetra Norvegia? Molti immagino. Proprio la Norvegia ha sempre rappresentato per la natura selvaggia, con le sue foreste, le sue montagne, i fiordi, i ghiacciai, il perfetto sfondo per romanzi fantasy (Tolkien, David Eddings, Terry Brooks) e per avventure sempre sognate ma mai realizzate. Ma anche in questo caso si può parlare di paesaggio deludente oppure le Terre del Nord sono veramente l'ultimo baluardo della fantasia esotica e dell'immensa bellezza della natura? Grazie alle opere di Theodor Kittelsen cercheremo di rispondere a questo interrogativo.
Theodor Severin Kittelsen, nato nella città costiera di Kragero nel sud della Norvegia nel 1857 e morto a Grimsrod nel 1914, rimane forse l'ultimo grande pittore-disegnatore Norvegese dopo Edvard Munch, sicuramente quello più amato e conosciuto dalla sua gente. Non stiamo parlando di un artista convenzionale, ma di un'anima romantica e innovativa, votata alla fantasia e da essa intrappolata; le sue opere ci hanno descritto il lato magico e onirico della natura Norvegese, ci hanno fatto capire che la paura irrazionale che Edgar Allan Poe descriveva nel suo "Maelstrom", non era frutto di una mente malata, ma bensì l'effettivo trionfo della potenza della natura sull'uomo. Le onde, i rumori ululanti e stregati del mare, le foreste gelide, i corvi, i sentieri oscuri dei boschi, tutti elementi da sempre presenti in Lovercraft, Maupassant, nello stesso Poe, rivivono nuovamente nelle opere di Kittelsen. Accusato spesso di ricalcare schemi già usati da altri e di essere ripetitivo, il pittore ci ha regalato disegni e acquarelli magici come la sua terra, preferendo tematiche oscure, magiche, per niente aderenti alla realtà (sotto questo punto di vista si avvicina al suo conterraneo Edvard Munch), ambientate in quel medio-evo tanto disprezzato dagli illuministi ("un'era di morte e di distruzione" come si diceva nel settecento) e tanto amato dai romantici. Ma vediamo in che ambiente crebbe e come si sviluppò la sua tecnica personalissima. Dopo un'infanzia felice il padre morì quando Theodor aveva undici anni. Non sapendo dove andare e avendo pochi soldi, il ragazzo diventò un apprendista presso un architetto a Christiania. Si trasferì a Monaco dove potè studiare fino al '79. Questi pochi anni furono probabilmente i più felici della sua vita, ma quando giunse la notizia che i fondi per la sua istruzione erano finiti, Theodor fu costretto a diventare un illustratore di giornali e quotidiani tedeschi. D'ora in poi la sua vita scorrerà fra povertà, debiti, sofferenze e naturalmente grandi opere pittoriche. Come ho detto prima Theodor provò sempre un'attrazione grandissima nei confronti della natura, da lui descritta come la cosa più grande che Dio abbia creato (Kittelsen non era un credente, ma piuttosto un deista), e perciò l'ha descritta come avrebbe fatto un bambino che per la prima volta vede un lago di notte, alberi che sembrano animati e così via; abbondano perciò nella sua cultura pittorica riferimenti mitologici tanto cari ai norvegesi (i Carmi dell'Edda su tutti), soluzioni visive vicine al romanticismo figurativo (le opere di altri norvegesi come Harald Sholberg, A. C. Svartstad), e un pessimismo di fondo contro una natura non solo bella e spettacolare, ma anche "matrigna", da sempre ostacolo per le comunicazioni, lo sviluppo agricolo e industriale, la vita comunitaria (in Norvegia solo il 10 % del territorio non è occupato da catene montuose).
Prima di passare alle opere vediamo a grandi tratti lo stile personalissimo di Kittelsen. Un grande uso della matita con un
tratto aperto e molto libero, un marcato e grottesco sfiguramento fisico delle creature fantastiche, molto simili agli uomini,
una preferenza per i particolari malsani e un disinteresse per i grandi spazi panoramici, una luce volutamente scarna ed
essenziale (il sole non compare quasi mai), un costante accostamento umano agli elementi vegetali, e infine quel contrasto
netto tra il nero marcato dei soggetti e il grigio sbiadito dello sfondo naturale, sono gli elementi presenti in tutti i suoi lavori.
Kittelsen è stato un artista abbastanza prolifico. Ha pubblicato diverse collezioni di disegni, tra le quali "Dalla vita negli
ambienti modesti" (1889-90), "Da Lofoten" (1890-91) e l'autobiografia illustrata "Uomini e mostri" (1911), oltre alla serie
degli acquarelli chiamata "Jonfrustland". E' curioso notare come il suo primo successo fu "Sciopero" (1879), un quadro
realista a sfondo sociale, ma fu con le illustrazioni di "Le favole per ragazzi" (1887) di Asbjorsen e Moe che l'artista
perfezionò e fece conoscere il suo stile futuro. Tutti i suoi lavori si possono inquadrare in tre grandi correnti: illustrazioni di
creature fantastiche, disegni sulla peste, piombata in Norvegia nel 1349, e scorci naturalistici. Nella prima corrente
abbondano riferimenti ai Troll, esseri malvagi come "spiriti neri della natura"; basta un disegno come "Draugen" (1887) con
gli occhi allucinati della creatura e il suo gesto quasi minaccioso di aiuto per capire la potenza scenica di Kittelsen. In
"Nokken" (1887) uno spirito dell'acqua emerge appena, ma il suo aspetto incute ugualmente terrore e meraviglia. Il
bellissimo "Kornstaur" (1900) stupisce per la semplicità figurativa, trasformando innocue pile di fieno in creature deformi
illuminate dalla luna appena accennata. "Sjotroll" (1889) presenta invece un tratto rude e molto calcato; il mostro si erge in
tutto il suo orrore in mezzo a scogli e onde, spalancando le enormi fauci e inarcando le mani in segno di disperazione. Per il
ciclo sulla peste ricordiamo almeno "Pesta i trappen" (1896), dove la morte nera assume le sembianze di una vecchia
"piccola, con la faccia piena di punti neri", "Fattigman" (1894), "Svartadaue" (1904), accomunati da figure chiave come il
corvo e i vecchi morti fra atmosfere lugubri e desolate, ma soprattutto "Pestakommer" (1894), magistrale esempio di
atmosfera e indefinitezza, reso al meglio da un tratto allungato, di ampio respiro, con la consueta presenza di un volatile
forse in fuga dalla peste o forse suo triste annunciatore. Per gli scorci naturalistici abbiamo "Hakkespett" (1912), delizioso
acquerello di grande raffinatezza, e "Rasletasle" dalle tonalità grigie riscaldate dal giallo acceso del sole. |